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  • Immagine del redattoreClaudio Ventura

Il caso dell'ex-ILVA: meno produzione e più inquinamento. Esistono soluzioni per l'acciaieria?

Aggiornamento: 13 giu 2020

Peacelink, elaborando i dati provenienti dalle centraline Arpa e Ispra, ha evidenziato un peggioramento dei livelli di inquinamento nonostante la riduzione della produzione e la copertura dei parchi minerali. Tali dati incentivano inevitabili riflessioni sul futuro dell’acciaieria.



L’impianto siderurgico di Taranto continua a far parlare di sé. Ovviamente da un punto di vista negativo. In un momento storico caratterizzato dalla voglia di una possibile ripartenza green, in Italia, si deve fronteggiare un caso ancora senza soluzione.


Peacelink, attraverso il software Omniscope, ha elaborato i dati provenienti dalle centraline Arpa e Ispra. Da tale elaborazioni emergono inevitabili interrogativi sulla situazione all’interno dello stabilimento dato che, nonostante la riduzione della produzione e la copertura dei parchi minerali, i livelli di inquinamento sono aumentati.

Come si apprende dal sito di Peacelink, confrontando il trimestre marzo-aprile-maggio del 2020 con lo stesso trimestre del 2019, si segnala un aumento di Benzene +199% nello stabilimento ex-ILVA e +116% nel quartiere Tamburi di Taranto; PM10 +81% all’interno dello stabilimento e +18% nel quartiere Tamburi; PM2,5 +82% nell’acciaieria e +49% nel quartiere Tamburi.


Come sottolinea Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, “i dati indicano chiaramente un peggioramento dell'inquinamento sia interno sia esterno alla fabbrica, nonostante il calo della produzione e nonostante la copertura del parco minerali, indice che qualcosa nell'ILVA sta andando storto. ArcelorMittal nel 2018 prometteva "zero polveri" ma le polveri sottili (PM10 e PM2,5) aumentano e sono proprio le polveri sottili quelle più pericolose per la salute.”


Nonostante l’unico valore in diminuzione sia rappresentato dagli IPA (idrocarburi policiclici aromatici), ciò che preoccupa è l’aumento del benzene. I picchi registrati l’1, 2 e 3 giugno 2020 hanno evidenziato un valore massimo di 6,5 microgrammi/m3 nel quartiere Tamburi e 63,1 microgrammi/m3 in cockeria.

“Per fare un confronto, la media del quartiere Tamburi degli ultimi tre mesi (marzo-aprile-maggio 2020) era per il benzene 1,68 mcg/m3; ed era 0,78 mcg/m3 per il trimestre corrispondente marzo-aprile-maggio 2019.” Dunque è evidente l’anomalia dei dati registrati nei primi giorni del mese di giugno.



Considerazioni finali: esiste un futuro per l’impianto siderurgico?


Nonostante il calo della produzione e la copertura dei parchi minerali appare paradossale un aumento delle emissioni inquinanti, probabilmente connesso con i mancati investimenti per rendere meno impattante la produzione dell’acciaio e con una strategia produttiva che raramente ha tenuto conto delle disastrose conseguenze in termini di danni alla salute umana ed all’ambiente


Detto ciò è inevitabile soffermarsi a riflettere sul futuro dello stabilimento. In un futuro in cui si dovranno necessariamente limitare le emissioni inquinanti che potrebbero provocare patologie cardio-polmonari, al fine di evitare ulteriori pressioni sul nostro sistema sanitario, può l’Italia permettersi di puntare su un impianto industriale altamente impattante?

Se il Paese non è pronto ad un atto di riconversione e bonifica della fabbrica, la soluzione potrebbe essere quella di investire su tecnologie più pulite per rendere più sostenibile la produzione dell’acciaio.


Oltre al rinnovamento delle tecnologie dell’acciaieria si potrebbe pensare di instaurare una sorta di alleanza tra le realtà industriali presenti nell’area limitrofa allo stabilimento, al fine di creare una simbiosi industriale, e dunque, un Parco Eco-Industriale, che si basa su un principio molto semplice: i rifiuti ed i sottoprodotti realizzati da un’azienda possono essere considerati come una nuova risorsa per le altre, migliorando l’eco-efficienza delle imprese coinvolte.


In questo modo si crea una collaborazione tra diverse tipologie di industrie al fine di ricavare reciproci vantaggi economici, ambientali e sociali maggiori rispetto ai benefici ottenibili da ciascuna singola impresa, individualmente.

L’esempio migliore è quello di Kalundborg dove, tra gli anni '60 e '70, si è concretizzato il primo caso di simbiosi industriale in tutto il mondo. A Kalundborg, la simbiosi ha permesso ad ogni impresa o industria di ottenere importanti vantaggi economico-ambientali.


Infine è possibile un’altra soluzione che consiste nella riqualificazione dell’intera area per rilanciarla con un piano di sviluppo sostenibile e non più basato esclusivamente sull’acciaieria.

Bilbao, la regione della Ruhr e Pittsburgh, sono casi da prendere in esame e da analizzare per favorire il processo di cambiamento.


In queste zone, fortemente industrializzate, in seguito al declino delle acciaierie, dominavano l’inquinamento e la disoccupazione.

Tuttavia, attraverso l’impegno del governo locale, centrale, dei cittadini e di aziende private, le intere aree hanno sfruttato la crisi per poter rilanciare un

territorio con un piano di sviluppo capace di offrire occupazione senza inquinamento e senza compromettere la salute dei cittadini.


Dove prima erano presenti imponenti industrie, ora troviamo musei, teatri, gallerie d’arte ed università. Cultura, turismo, innovazione e sostenibilità sono i pilastri per il rilancio di tali territori.



Considerando che tali operazioni di rigenerazione sono avvenute circa 30 anni fa, forse è arrivato anche qui, in Italia, il momento di guardare realmente al futuro, rilanciando un territorio che già senza investimenti di nessun genere, può vantare un patrimonio storico e culturale invidiabile in tutto il mondo.

Le soluzioni esistono e per valutarne l’effettiva applicabilità è necessario un serio e concreto impegno tra tutte le parti in causa, dal governo ai cittadini.


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