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  • Immagine del redattoreClaudio Ventura

Genova e Taranto: due città con un'acciaieria in comune ma con destini opposti

Nel 2005 fu completamente dismessa l'area a caldo dell’Ilva di Cornigliano-Genova a causa del suo elevato impatto sulla salute umana e sull'ambiente. Le valutazioni che hanno spinto le autorità locali e nazionali a questa decisione, sono ignorate e non prese in considerazione per l'area a caldo dello stabilimento di Taranto.



A partire dalla fine degni anni '90 lo stabilimento di Cornigliano è stato oggetto di proteste da parte di cittadini e lavoratori, che denunciavano l'elevata diffusione di sostanze inquinanti e l'aumento di patologie tumorali e cardiovascolari (dimostrato da appositi studi epidemiologici).

Nonostante ciò, fu proposta ai cittadini una soluzione: chiudere la cockeria, per costruire un forno elettrico.

Dal momento che la popolazione locale considerava comunque inquinante la costruzione di un forno elettrico, le proteste proseguirono, fino a quando, nel 2001, la Magistratura sequestrò gli impianti, fino ad arrivare alla completa chiusura dell'area a caldo avvenuta nel 2005.

Nel caso di Genova la tutela della salute dei cittadini e dell'ambiente ha prevalso sull'economia.


La chiusura dell'area a caldo (responsabile delle maggiori emissioni inquinanti) non è mai stata presa in considerazione per lo stabilimento di Taranto, dove il ricatto occupazionale risulta ancora più pesante visto il maggior numero di dipendenti rispetto allo stabilimento di Cornigliano.

Da decenni le autorità locali, regionali e nazionali non riescono ad individuare soluzioni capaci di risolvere il problema legato allo stabilimento di Taranto.

Dati alla mano, le operazioni ed i processi dell'area a caldo sono responsabili di numerose emissioni inquinanti: benzopirene, idrocarburi policiclici aromatici e polveri sottili, ecc.

Gli ultimi dati di gennaio e febbraio 2019 segnalano un aumento rispettivamente del 30% e del 49% rispetto agli stessi mesi del 2018.


L'impianto produce, inoltre, una quantità di diossina molto superiore ai limiti stabiliti per legge, per cui dal 2010, la regione Puglia ha vietato il pascolo di animali da allevamento ad una distanza inferiore ai 20 km dallo stabilimento.

Per comprendere la gravità del fenomeno è bene ricordare che, a Taranto, nel solo anno 2006, è stata emessa il 92% di tutta la diossina prodotta in Italia, con valori che superano di 93 volte i limiti stabiliti per legge.

Tali emissioni inquinanti sono estremamente dannose per la salute umana e per la tutela dell'ambiente, ma l'impianto continua a produrre nell'indifferenza delle autorità competenti.


Come sottolineato in articoli precedenti esistono, fortunatamente, soluzioni (simbiosi industriale, utilizzo di tecnologie pulite, bonifica e riconversione dell'intera area) che consentirebbero di porre rimedio a quello che, probabilmente, sarà ricordato come uno dei più grandi disastri ambientali della storia italiana ed europea.


La speranza è che, in futuro, le autorità locali, regionali e nazionali saranno disposte ad ascoltare tali soluzioni, come è stato fatto per Genova, in modo tale da rilanciare l'economia della città di Taranto e provincia, senza compromettere ulteriormente la salute dei cittadini e senza inquinare l'ambiente.


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