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  • Immagine del redattoreClaudio Ventura

La responsabilità sociale d’impresa per un profitto più “etico”

Nel corso degli ultimi anni la definizione tradizionale di impresa, orientata esclusivamente al profitto, è stata messa in discussione. I consumatori ormai sempre più attenti alla questione ambientale spingono le imprese a raggiungere e, di conseguenza comunicare, non solo risultati economici, ma anche ambientali e sociali.



Negli ultimi decenni il consumatore ha assunto un ruolo attivo per le strategie delle aziende.

Con un atteggiamento più critico, i clienti tendono ad affidarsi maggiormente ad aziende attente alla questione ambientale e sociale.

Ciò ha portato al cambiamento nella strategia, organizzazione e comunicazione delle aziende, che devono essere in grado di saper operare in modo etico e morale, ma, allo stesso tempo, devono saper comunicare i risultati conseguiti nel modo corretto.

L’impresa, dunque, non può puntare solo al profitto, ma anche alla tutela della società ed alla salvaguardia dell'ambiente.

In altre parole deve essere in grado di poter operare in modo etico e morale, oltre che in modo economicamente profittevole.

Da questo ragionamento si arriva alla responsabilità sociale d’impresa o Corporate Social Responsability (CSR).



CSR: opportunità di crescita e sviluppo per le imprese


Per Corporate Social Responsability o CSR si intende l’impegno volontario delle imprese per tutelare la società e l’ambiente, creando delle strategie in cui vi è compatibilità tra responsabilità sociale ed economica e migliorando le proprie opportunità di crescita e competitività.

In altre parole per CSR si intende la responsabilità delle imprese per gli impatti che hanno sulla società.


Come precisa il Libro Verde della Commissione Europea la responsabilità sociale delle imprese è un “impegno volontario”.

Nonostante sia ancora definito non obbligatorio, molte imprese, anticipando le altre, possono essere in grado di creare delle strategie economicamente valide, ma allo stesso tempo etiche e morali, ottenendo un vantaggio competitivo rispetto alle altre concorrenti.



Ciò non significa impedire alle aziende di generare ricchezza, ma l’esatto contrario.

Infatti un'impresa che non genera profitti non può sopravvivere e non può soddisfare le richieste di tutti i soggetti con i quali intrattiene dei rapporti.

Tuttavia, il mancato rispetto dei principi etici, con conseguente calo dei consensi tra gli interlocutori, può compromettere l'economicità dell'impresa.

In quest'ottica si abbandona l'idea di una crescita economica slegata dalla salvaguardia ambientale, ma si abbraccia la visione dello sviluppo sostenibile, in cui la crescita economica è compatibile con lo sviluppo sociale ed ambientale.


La variabile ambientale non come vincolo ma come opportunità


Considerare la variabile ambientale come fulcro delle strategie aziendali può offrire all'impresa potenziali effetti benefici in termini di immagine, reputazione e fiducia.

Il cliente, infatti, è sempre più critico ed attento ai prodotti che acquista.


Un'azienda famosa per il suo concreto e reale impegno in favore della sostenibilità, avrà maggiori probabilità di poter fidelizzare quei clienti che si sentiranno protagonisti, insieme all'impresa, di azioni mirate alla salvaguardia del pianeta.

Oltre a ciò, se la tutela dell'ambiente diventa centrale per l'impresa è inevitabile un aumento degli investimenti nell'innovazione tecnologica al fine di rendere i processi ed i prodotti meno impattanti.

Ad esempio le manutenzioni più frequenti, la sostituzione dei materiali inquinanti con altri più puliti (cleaner technologies), il recupero degli scarti ed il loro riutilizzo e la valorizzazione dei sottoprodotti, rende più sicuro e meno inquinante il processo produttivo, migliorando l’efficienza dell'impresa.

In questo modo si utilizzano in modo più produttivo le risorse aziendali (materie prime, energia e forza lavoro) rendendo l'impresa più competitiva.


All'interno dell’impresa, tuttavia, deve essere sviluppato un processo di adeguamento dal punto di vista tecnologico, strategico ed organizzativo, che coinvolge anche le risorse umane, che dovranno acquisire nuove competenze e conoscenze, con l'obiettivo di conciliare i risultati economici con quelli socio-ambientali.

L’impresa, inoltre, per poter beneficiare di una migliore immagine, visibilità e reputazione tra la clientela deve essere in grado non solo di operare in modo etico e morale, ma anche di comunicarlo nel modo migliore possibile.


Per quanto riguarda la comunicazione dei risultati sociali ed ambientali sono stati realizzati degli importanti passi in avanti.

Il decreto legislativo 254/2016 recependo la direttiva 2014/95/UE, ha reso obbligatoria la rendicontazione di informazioni di carattere non finanziario, e quindi anche dei risultati sociali ed economici, alle imprese, o ai gruppi di imprese, di grandi dimensioni (totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiore a 40.000.000 di euro oppure totale dell'attivo dello stato patrimoniale superiore a 20.000.000 di euro) che costituiscono enti di interesse pubblico e che hanno avuto in media, durante l’esercizio finanziario, un numero di dipendenti superiore a 500.

La rendicontazione dei risultati sociali ed ambientali, tuttavia, non è obbligatoria per le aziende di piccole o medie dimensioni, ma anche per queste ultime i potenziali benefici possono risultare notevoli.


Le imprese di qualsiasi dimensioni in grado di informare i soggetti interessati all'impresa (clienti, fornitori ed investitori) dei risultati economici, sociali ed ambientali raggiunti, si assicurano la loro piena fiducia ed un vantaggio competitivo non trascurabile rispetto a quelle aziende accusate di inquinare in modo eccessivo e di non preoccuparsi della questione ambientale.

Saper comunicare in modo chiaro, trasparente, fedele e veritiero i risultati ottenuti, oltre ad essere eticamente corretto, dunque, può essere anche più redditizio.

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