Il dato è emerso dal rapporto pubblicato da Oil Change International e Friends of the Earth USA, che evidenzia il costante supporto pubblico del G20 in favore dei combustibili fossili nel periodo successivo agli Accordi di Parigi.
Il dato ottenuto dal rapporto evidenzia il comportamento contraddittorio dei Paesi del G20 per quanto riguarda le rispettive politiche energetiche.
Ricordiamo, infatti, che nel 2015 è stato stipulato l'Accordo di Parigi con l'obiettivo di contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C (limitandolo a 1,5°C) attraverso la riduzione delle emissioni inquinanti.
Dunque, teoricamente, per essere coerenti con tale Accordo, ciascun paese avrebbe dovuto intraprendere una graduale politica di decarbonizzazione e maggiori investimenti in favore delle fonti energetiche rinnovabili.
I dati del rapporto, tuttavia, smentiscono tale impegno da parte dei paesi del G20, che proseguono con il supporto in favore dei combustibili fossili.
Le scelte "contraddittorie" dei paesi del G20
Il dossier, infatti, ponendo in relazione il triennio 2016-2018 (post Accordo di Parigi) con il triennio 2013-2015 (pre Accordo) evidenzia come il supporto dei paesi del G20 in favore delle fonti energetiche tradizionali non rinnovabili, sia rimasto prevalentemente invariato.
Dal 2015 i paesi del G20 hanno investito almeno 77 miliardi di dollari ogni anno in favore di progetti legati ai combustibili fossili.
Una somma che risulta essere pari a più del triplo degli investimenti in favore delle fonti rinnovabili.
Tra i vari paesi, spicca l'Italia, che investe annualmente 2,5 miliardi in combustibili fossili e poco più di 200 milioni per le rinnovabili.
Considerando sia il rapporto tra la popolazione dell'Italia rispetto agli investimenti in fossili, che il rapporto tra investimenti in fonti fossili e rinnovabili, il nostro Paese risulta essere uno tra i peggiori.
I paesi che investono maggiormente in progetti inquinanti sono Cina (quasi 25 miliardi l'anno), Canada (che ha superato i 10 miliardi l'anno), Giappone e Corea del Sud, mentre la Banca Centrale Europea e la Banca Mondiale, in confronto al periodo precedente all'Accordo di Parigi, hanno aumentato il loro supporto annuale in favore delle fonti energetiche, rispettivamente con investimenti pari a 4,7 e 3,5 miliardi di dollari, ma non sono sufficienti per incentivare un reale progetto di transizione energetica.
La fisiologica necessità di un processo di transizione energetica
I paesi del G20, dal rapporto, non hanno dato vita a sostanziali modifiche dei loro piani energetici nel triennio successivo all'Accordo di Parigi.
La scelta di proseguire con investimenti in favore dei combustibili fossili risulta paradossale e in contraddizione con il futuro economico, energetico ed ambientale del nostro pianeta.
Se i paesi più importanti al mondo insisteranno su tale condotta rallenteranno l'inevitabile processo di decarbonizzazione, con effetti negativi dal punto di vista ambientale, economico e tecnologico.
Aumentare l'impiego di fonti rinnovabili, ad esempio, potrà rivoluzionare la mobilità, con la crescita di auto elettriche che, se "rifornite" di energia green e non prodotta dai combustibili fossili, hanno un impatto minimo rispetto le auto tradizionali.
Oltre alla questione della mobilità si rivoluzionerebbe il concetto di distribuzione dell'energia, creando una rete elettrica intelligente (smart grid), capace di far comunicare i produttori con i consumatori.
In questo modo la distribuzione risulta più efficiente, con vantaggi non solo economici per i consumatori (risparmi in bolletta) ma anche ambientali.
Infine, dal punto di vista occupazionale, favorire la transizione energetica significherebbe garantire molti più posti di lavoro nel settore dell'efficienza energetica. Secondo l'ARENA, l'Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili, all'interno del primo "Global Renewables Outlook", ogni dollaro speso per la transizione energetica si ripaga dai 3 agli 8 dollari, favorendo, entro il 2050, un aumento di circa 42 milioni di nuovi posti di lavoro in tutto il mondo, nel settore delle energie rinnovabili.
In definitiva, orientare la politica energetica della maggior parte dei paesi del mondo in favore delle fonti rinnovabili, creerebbe un modello di sviluppo capace di combinare la crescita economica, occupazionale e l'innovazione tecnologica con la tutela dell'ambiente e della salute umana.
Per queste ragioni la speranza è che, per affrontare la grave crisi post-pandemia, i paesi del G20, e non solo, imparando dagli errori del passato, potranno porre le basi per una società concretamente fondata sullo sviluppo sostenibile.
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