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Immagine del redattoreClaudio Ventura

L'ONU definisce fallimentare il tentativo di arrestare la perdita degli habitat naturali

Aggiornamento: 3 lug 2021

Come si evince dal Global Biodiversity Outlook 5 (GBO-5) dei 20 obiettivi globali di biodiversità fissati nel 2010 per salvare il pianeta, ne sono centrati solo 6 (parzialmente). La scomparsa degli habitat naturali non si arresta.



La scelta di fissare 20 obiettivi globali di biodiversità nel 2010 è nata dal preoccupante fenomeno di perdita degli habitat naturali.

L'inquinamento delle attività umane sta, infatti, compromettendo l'equilibrio del pianeta, aumentando il numero di specie animali e vegetali a rischio di estinzione.

Dal Global Biodiversity Outlook 5 (GBO-5), il report redatto dalla Convenzione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite, che riassume i dati più recenti sullo stato della biodiversità, è evidente che gli obiettivi fissati nel 2010 non sono stati raggiunti.


In particolare non è stato raggiunto l'obiettivo del dimezzamento della perdita degli habitat naturali, dal momento che risulta in aumento il degrado degli ecosistemi tropicali e la scomparsa delle aree umide e selvagge.

Dal rapporto, inoltre, si evince che non si è intervenuto in modo adeguato anche per la questione relativa ai rifiuti di plastica presenti negli oceani, che possono compromettere gravemente gli ecosistemi marini.

Nonostante una riduzione del tasso di deforestazione globale di un terzo negli ultimi cinque anni (rispetto ai dati antecedenti al 2010) ed il raggiungimento parziale di 6 obiettivi su 20, tra i quali citiamo quelli relativi alle specie invasive ed aree protette, è evidente una mancanza di misure ed interventi da parte dei Paesi per cercare di tutelare la biodiversità.

Ciò pone ulteriori dubbi sulla capacità dei Paesi di rispettare gli obiettivi dell'Accordo di Parigi.


Nonostante l'evidente fallimento, gli autori dell’Outlook si premurano di sottolineare che praticamente tutti i Paesi stanno ora adottando misure per proteggere la biodiversità.

Chiaramente occorre procedere con interventi ben più decisivi per poter cercare di tutelare gli habitat naturali.

A tal proposito, il rapporto, ha indicato le 8 transizioni capaci di poter frenare il deterioramento e la scomparsa di ecosistemi a rischio:


  1. La transizione della terra e delle foreste: ridurre ulteriormente il fenomeno della deforestazione e del consumo di suolo che possono compromettere gli equilibri del pianeta;

  2. La transizione all'agricoltura sostenibile: l'utilizzo delle tecnologie digitali ha consentito di porre le basi per l'agricoltura 4.0. Raccogliendo dati sullo stato di salute del terreno è possibile definire una strategia di coltivazione capace di minimizzare lo spreco di risorse idriche e di fertilizzanti, massimizzando la produttività dei propri raccolti;

  3. La transizione dei sistemi alimentari sostenibili: incentivare diete sostenibili e sane favorendo lo sviluppo della filiera corta, che oltre a garantire prodotti freschi e dalle migliori caratteristiche organolettiche, tenderà a minimizzare il fenomeno dello spreco alimentare;

  4. La transizione sostenibile della pesca e degli oceani: protezione e ripristino degli ecosistemi marini e costieri per migliorare la sicurezza alimentare;

  5. La transizione tra città e infrastrutture: realizzare progetti di rigenerazione urbana in grado di consentire lo sviluppo delle città, senza contribuire al fenomeno del consumo di suolo e rilanciando zone periferiche abbandonate consentendo il miglioramento della qualità della vita dei cittadini, favorire la mobilità sostenibile riducendo l'inquinamento e migliorando la qualità dell'aria;

  6. La transizione sostenibile dell’acqua dolce: tutelare gli habitat a rischio e favorire processi di riutilizzo dell'acqua dolce;

  7. La transizione all'azione sostenibile per il clima: favorire il processo di transizione energetica e di decarbonizzazione al fine di restare coerenti con gli obiettivi prefissati dall'Accordo di Parigi;

  8. La transizione One Health inclusiva della biodiversità: gestione sostenibile degli ecosistemi.

I dati del rapporto dunque risultano preoccupanti ma non sono permanenti.

I danni causati dalle attività umane, infatti, sono ancora risolvibili ed affrontabili, ma occorrono interventi concreti non solo a livello nazionale, ma anche, e soprattutto, a livello globale.


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